C'era una volta una volpe ed
una lepre. Erano come due di famiglia. Facevano tutto insieme: cose buone e
cose… poco buone. Erano, insomma, amici fidati. Un giorno che l’astuta volpe si
trovò da sola pensò e ripensò e le venne di fare un brutto tiro ad un
carrettiere che passava puntualmente alla data ora da Tale Punto. Si sdraiò su
quella strada e, quando il traino arrivò a Tale Punto, chiuse gli occhi stese
tutti i nervi del corpo e si finse morta. Il trainiere, che era un venditore
ambulante di olio, quando la vide morta e stecchita pensando di utilizzare la
pelle dell’animale blocco il ciuccio che tirava il carro e caricò la volpe sul
carro poggiandola sopra le pelli gonfie di olio. Era contento di aver recuperato
un bell’esemplare di volpe: quella pelle con il suo fulvo colore poteva
arricchire il suo pastrano e quella coda, con i dovuti trattamenti del
conciapelli, poteva adornare l’abito invernale della moglie. Tutto questo
pensava il venditore ambulante. E, sempre dando le spalle alle pelli d’olio e
alla volpe sopra di esse, interpretava quella fortuna come un buon segno per i
futuri affari. Con i pensieri e le speranze, l’allegria si affacciò dalla sua
bocca e, fischiettando prima e canticchiando poi, intonò il canto del
carrettiere: E io mo’
me ne vajie alla via de la funtanella Jià à ( con lo staffile incitava il suo dipendente a quattro zampe) E ji me la peggjiave la
chjiù belle di tuttaaaa Jià à ( tenendo il ritmo col suo staffile ) La volpe, creduta morta, dapprima aprì un occhio: spiò orientando la testa dalla parte del carrettiere, poi -sicura dei fatti suoi- aprì l’altro occhio e, prontamente con gli aguzzi denti, si dette a rosicchiare l’otre finché fu in grado di abbeverarsi di una buona parte del biondo liquido mentre una – cattiva – parte si perdeva, sgocciolando, lungo la strada. Sazia, spiccò un salto e si perse tra l’erba dei campi. Ad un certo punto il venditore si voltò col sorriso sulle labbra a guardare le pelli e quel sorriso gli rimase stampato ma senza più gioia dentro perchè scoprì che un'otre era svuotato e che la volpe non c’era più. Era tardi ma capì l'inganno. Frustò con rabbia il suo mulo e fra sé disse: "Me l'hai fatta!" tirando avanti verso il paese. La volpe, piena della sua bravata e di tutto l’olio bevuto, raggiunse sul tardi la sua compagna e le disse: "Ho bevuto tant'olio, che posso stare bene in salute per una settimana". La lepre, che non voleva essere da meno, domandò golosa e curiosa: "Quando? Come? E dove hai potuto procurartelo?" E quella le raccontò tutto quanto. Allora la lepre pensò di imitarla e quando, di nuovo, passò il venditore col carico d'olio, si sdraiò per terra e finse di essere morta. Il carrettiere la vide, la raccolse sul suo traino e poi, prontamente, col coltello le tagliò le zampe. Come urlava la povera lepre, ma l’infuriato carrettiere non ebbe pietà e continuò finché, per farla smettere di urlare, con un sasso le schiacciò la testa dicendo: "Ciò che non ho fatto alla volpe, faccio a te". Non è una storia a lieto fine? Ma accettiamola e tiriamo le somme: Fa’ il passo per quanto è la gamba? Tira il morso per quanto è la bocca? Meglio ferito che morto? Il polpo si cuoce con l’acqua sua stessa?… e?... Su, pensiamo ad altri proverbi della tradizione che vadano bene per questa storia! |