Una Pigra e Cecchina
Allora, quella volta, c'era
una ricca famiglia che cresceva a latte d'uccello una figlia molto...
molto bella. I genitori, impegnati a fare opere di bene e a lavorare,
per guadagnare sempre di più, avevano dato per compagnia, a questa
figlia che non poteva rimanere sola in quella casa così grande, una
bambina della sua stessa età di nome Cecchina che, zitto zitto in mezzo
alla piazza, era mancante di bellezza. A vederle insieme tutti
erano portati a fare il confronto e la bellezza veniva in risalto:
Cecchina era proprio brutta.
I ricchi genitori sempre fuori e le due fanciulle, la figlia bella e la brutta Cecchina, in casa. Che fare in tutto quel tempo? Avevano imparato a filare. La bella giovane, sì, si metteva a filare ma... non le incozzava: ogni minimo nodo che si formava al lino da lavorare la faceva innervosire e buttava via il lino con tutto il nodo. Cecchina, invece, filava tranquillamente e, quando alzava la testa dal lino e guardava la ricca padrona-compagna, si ricordava la filastrocca che aveva sentita da bambina e mentalmente la ripeteva: La fatica si chiama cocozza, a me non m'incozza, a me non m'incozza. Poi, sorridendo, con la santa pazienza, raccoglieva il lino che la insoddisfatta padrona abbandonava e dopo averlo aggiustato e filato, lo metteva da parte. Quando fece una buona provvista di tutti quegli avanzi, li portò da un tessitore, si fece fare un bel vestito e lo stipò. Se lo guardava, Cecchina, quel bel vestito nello stipetto e, mentre le ridevano i sensi, richiudendo lo sportello, pensava al giorno che lo avrebbe indossato. Quel giorno arrivò. Un giovane, preso dalla bellezza della padrona di Cecchina, aveva mandato l'ambasciata alla ricca famiglia che aveva accettato di far incontrare i giovani e, stabilito il giorno in cui, appunto, si dovevano apparolare prima del fidanzamento, si prepararono a fare una grande festa. Cecchina era raggiante, più della futura sposa, perché finalmente avrebbe messo il bel vestito e se lo andava a spazzolare continuamente per la festa. La festa arrivò e un simpatico gruppo di musicisti si sistemò nella grande sala attaccando, prima, con un concertino e, poi, con una serie di musiche da ballo. Tutti si alzarono a ballare e tutti invitarono tutte. I due promessi, ballando, cominciarono a scambiarsi le prime parole di conoscenza: - Io mi chiamo Peppino e faccio un bel mestiere! Appena ho visto i tuoi occhi sono stato subito conquistato e... - andava confidando il futuro sposo all'orecchio della futura sposa. - Io sarò la padrona di tutto quello che vedi e non sopporto che qualcuno mi parli nell'orecchio: non sono sorda! - interruppe altezzosa la ricca giovane - ...e poi... - interrompendo se stessa - Come avete detto che vi chiamate? - domandò. - Mi chiamo... - stava per dire Peppino quando, la bella giovane, ancora interrompendolo e guardando Cecchina che se la godeva nel suo bel vestito, sentenziò: - Come si smorfia con il mio lino quella serva sfacciata! Il giovane,
anche se indisposto da quello strano comportamento, incuriosito, le domandò il significato di quelle
parole ed
ella raccontò che Cecchina s'era fatto il vestito dal lino, che lei aveva gettato. - Per fortuna che nel mondo circola ancora l'invidia! Se non ci fosse io non avrei conosciuto le qualità di Cecchina e avrei commesso un grosso errore. - pensò, allora, il saggio giovane e, dopo che sposò Cecchina, da allora, con lei vive felice e contento. |